La voce delle associazioni escluse dal processo penale contro Turetta, in corso dinanzi alla Corte di Assise di Venezia, è unanime nel sottolineare l’arretramento che segna questa decisione. Felicia D’Amico, rappresentante dell’associazione Insieme a Marianna, anch’essa esclusa dal processo, dichiara: «La decisione della Corte d’Assise di Venezia riporta tutto in una dimensione privata, come se il femminicidio di Giulia Cecchettin fosse una questione domestica, circoscritta a un ambito personale. Questo, però, è profondamente sbagliato. Il femminicidio non è mai solo una questione privata; ha un impatto pubblico e sociale, che merita un riconoscimento processuale adeguato. La corte di cassazione conferma da oltre un decennio la piena legittimazione delle associazioni a costituirsi parte civile».

L’avvocata Rossella Mariuz dell’UDI sottolinea: «La rilevanza pubblica di questo crimine non può essere ignorata. La violenza di genere, e in particolare il femminicidio, sono questioni che colpiscono profondamente la nostra società e devono essere trattate con la massima serietà e con piena consapevolezza del loro impatto collettivo. Escludere le associazioni dalle parti civili rappresenta una perdita non solo per il processo, ma per la comprensione completa e articolata di questi fenomeni».
L’associazione I Care We Care, rappresentata dall’Avvocata Ilaria Deflorian, evidenzia che il femminicidio di Giulia Cecchettin deve essere considerato un tema di responsabilità collettiva: «Questa vicenda non riguarda solo le singole persone coinvolte, ma l’interesse dei consociati nel loro complesso, e per questo motivo ha un rilievo che coinvolge tutto l’associazionismo. La violenza di genere è una questione che tocca ogni angolo della società, e ogni decisione che la minimizza o la confina a una dimensione privata è un passo indietro nella lotta per il riconoscimento dei diritti delle donne».

Vittoria Tola, presidente UDI NAZIONALE sottolinea come «l’estromissione delle associazioni da parte della corte d’assise di Venezia dimostra quanto sia ancora attuale lo slogan “il personale è politico” creato dal movimento femminista più di cinquanta anni fa, e quanto sia ancora attuale l’esigenza che la formazione sui diritti giunga a tutti i livelli e anche alla magistratura che presenta ancora zone grige dove l’interpretazione delle norme penalizza l’ ingresso delle associazioni nei processi, sino al paradosso che una stessa associazione venga ammessa in Emilia Romagna ma non venga ammessa in Veneto.
In chiusura, Elisa Ercoli, Presidente di Differenza Donna, ribadisce: «È proprio di una cornice sociale strutturata secondo la discriminazione di genere fare distinguo tra ciò che è giuridico e ciò che non lo è. E’ stata una forzatura escluderci perché ha dovuto annullare tutte le volte in cui ci siamo costituite nei numerosi processi per femminicidio in giro per tutta l’Italia.

Quando a prendere parola sono le donne o, insieme a loro, le associazioni che promuovono una trasformazione sociale verso la libertà dalla violenza di genere e’ un passo avanti per tutta la società. Ve lo immaginereste un processo per mafia in cui non vengono accolte le associazioni impegnate ogni giorno sui territori per il suo contrasto? Una follia, anzi una decisione che banalizza l’importanza delle associazioni di donne e dei Centri antiviolenza, un pezzo delle Istituzioni, l’autorità giudiziaria, che fa fatica ad adeguarsi culturalmente alla contemporaneità e al diritto contemporaneo e nel farlo agisce un potere che fa arretrare tutte e tutti. Essere nei processi come società civile esperta della violenza maschile come attiviste dei diritti delle donne e’ un patrimonio irrinunciabile, chi non lo comprende è parte del problema.

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